martedì 26 maggio 2015

Mater - percorsi sulla maternità


Un paio di settimane fa ho approfittato del mio soggiorno a Parma per visitare una bella mostra che in questo momento si tiene nel Palazzo del Governatore, dal titolo "Mater".
Un percorso d'arte, dalle tracce archeologiche della cultura del mediterraneo, alle più contemporanee opere fatte di scritte al neon, passando per i grandi capolavori scultorei e pittorici dei secoli passati e recenti. Alla ricerca dell'essenza della maternità.
Questa mostra mi è piaciuta, l'ho trovata ben curata e straordinariamente ricca di opere e di spunti di riflessione.
La maternità, forza e debolezza, gesto antico e moderno, che segna il destino dell'umanità e, molto più intimamente, il mistero della nostra stessa esistenza.
Ultimamente mi capita di riflettere spesso su questo tema. Sarà per via del fatto di essere rimasta orfana presto, in un età adolescente in cui forse mi sarebbe stata più utile una figura femminile di riferimento con cui confrontarmi sulla vita, sul mio ruolo, su tanti temi con cui prima o dopo come donne ci capita di misurarci. E soprattutto forse per via della mia stessa maternità, voluta e accolta, ma che mi impone spesso e volentieri di fermarmi a riflettere e fare un po' il punto, tirare delle
somme, aggiustare il tiro, scegliere nuovi percorsi.
La maternità mi ha molto cambiato, perché inevitabilmente ha stravolto il mio modo di vedere le cose. Che detta così sembra la solita considerazione melensa di una madre in vena di romanticherie. Eppure è proprio così che io avverto, che ho avvertito sempre, questa cosa grande e immensa che è la maternità. Dico sempre che io, guardando mia figlia, sono stata colta da delirio di onnipotenza. 
Caspita, mi sono detta, se riesci a creare un essere vivente così minuscolo ma perfetto in tutte le sue parti, così unico, libero, grande, allora che cosa altro ti manca? Non c'è nulla che ti è precluso, di fronte a un miracolo così gigantesco! La meraviglia della creazione! (credo di averla capita all'epoca e ne ho sperimentato lo stupore)

E poi cominci a interrogarti, sin dai primi mesi, a chiederti che diamine penserà di te quell'esserino così piccolo, ma indubbiamente già dotato di propria volontà. Ed è così che (proprio guardando il mondo come immagini che possa guardarlo dal suo punto di vista) ti accorgi che non puoi rivolgerti a lui/lei con quegli stupidi nomignoli, storpiando il nome delle cose, avvicinandoti con gli immancabili "dududududududu". Semplicemente perché quello, tuo figlio, ti direbbe che sei un gran demente, e tu non sopporteresti il ridicolo nei suoi occhi. (poi, più grande, te lo dirà direttamente guardandoti negli occhi, ma non ti farà così tanta impressione, anzi ne riderete insieme)
Passano gli anni e ti accorgi che mentre tu sei alle prese con i tuoi interrogativi sulla maternità, sul dilemma tra educazione e autorevolezza, i figli crescono e sono proprio quello che hai sempre visto in loro, sin da neonati: sono anime grandi in corpi piccini, ma ora i corpi stanno crescendo. E allora ti accorgi che ti hanno insegnato molto, di te, di quello che sei, di quello che stai diventando, di quello che hai scoperto del mondo.  Ed è molto più di quello che tu hai potuto mai insegnare a loro, di se stessi.
Così cambia ancora la tua percezione di maternità. Ora che sei meno indispensabile, ora che non hai più una funzione essenziale alla sopravvivenza, ora che non li nutri di te stessa, ora che potresti anche allontanarti, lasciandoli, e anzi ora che senti proprio la necessità di liberare i loro spazi, di farti sempre meno presenza ingombrante, proprio adesso realizzi (forse) l'essenzialità del legame. 
E in quella riduzione al nucleo, resta la bellezza di una risata insieme, la tenerezza di una mezz'ora di coccole, il divertimento di un pomeriggio in cucina e anche (talvolta) un abbraccio condito da lacrime di disincanto.
E' qui che comprendi, anche in mezzo alla fatica, alla mancanza di pazienza, alle inevitabili arrabbiature, il senso della maternità. Ed è proprio in quel che resta.




mercoledì 13 maggio 2015

Le cose che non ho detto - Azar Nafisi


"Le cose che non ho detto" è una sorta di diario autobiografico dell'autrice, già notissima per avere pubblicato altri libri come "Leggere Lolita a Teheran" per esempio.
E' un lungo racconto da cui emergono personaggi complessi: il padre di lei, già sindaco di Teheran ai tempi dello Scià, la madre una delle poche donne a entrare in parlamento, e i rapporti travagliati tra loro, le vendette, i tradimenti. E tutto questo nella cornice della rivoluzione Khomeinista, con tutti i risvolti politici e sociali, i cambiamenti, le preoccupazioni, le angosce che ogni dittatura porta con sé. 
In questo caso ho trovato molto interessante, come già nel precedente libro, l'accento posto dall'autrice sulle donne, sul mutare delle proprie condizioni, sulle reazioni alle vicende politiche.
Serve a capire meglio, soprattutto a chi non si è mai addentrato in questo genere di letture, che le donne in Iran hanno sempre avuto un ruolo importante, anche nella cultura. Che il velo non è una consuetudine "tradizionale". Che molte si sono rifiutate di adottarlo, e di questa scelta ne hanno subito il peso.

Esattamente come suggerisce il risvolto di copertina si avverte facilmente un parallelismo tra la dittatura e la famiglia. L'autrice mette in evidenza proprio come il primo nucleo di totalitarismi sia la famiglia, attraverso le relazioni, i rapporti di potere, i sensi di colpa, le rinunce e le reciproche accuse. Alla fine la coppia non riesce a restare in piedi e il rapporto madre-figlia rimane tra i più tormentati dell'intero racconto.

Devo ammettere che è un libro che a un certo punto mi ha dato un senso di stanchezza, ma superata quella fase ho finito di leggerlo con grande velocità. In genere non amo molto lo stile di diario autobiografico, mi annoia appunto. Ma questo libro è qualcosa di altro. Ci cattura in un mondo in parte lontano e differente, ma a voler ben guardare ha molte analogie col presente. Mi ha affascinato nei racconti più privati, di famiglia, perché in fondo tutte le famiglie si somigliano un poco.

E' un libro che consiglierei, pur se di non veloce lettura.

giovedì 7 maggio 2015

In fuga con la zia - Miriam Toews


Questo è il primo libro che leggo dell'autrice canadese.
Ammetto che mi ha affascinato la storia: un viaggio rocambolesco di una zia coi due nipoti, alla ricerca del padre, a seguito dell'ennesimo ricovero della madre che ha gravi problemi maniaco-depressivi. Una situazione non delle più facili, dunque.
Per altro i personaggi sono tutti abbastanza tormentati, ognuno si porta dietro delusioni, sogni infranti, difficoltà a vivere pienamente la realtà della propria vita. Ma per questo sono a loro modo affascinanti. Perché in ognuno di loro trovi un pezzo di te.
Durante il viaggio la giovane zia ripercorre le fasi della sua vita, sia nella propria famiglia d'origine, con questa sorella sempre difficile, tormentata, imprevedibile, sia nella più recente esperienza con un compagno troppo lontano, lasciato in Francia. I ragazzi a loro volta affrontano la difficoltà di avere avuto una madre originale, difficile, fuori da ogni schema, difficile da amare, e l'angoscia di cercare un padre che se n'è andato via (forse per salvare se stesso dal dolore) senza più cercarli.
Ne emerge un ritratto di famiglia in cui, a dispetto da quel che si potrebbe apparentemente pensare, i legami sono più solidi di quel che si creda, legami fatti di sogni, parole, telefonate, rabbia, carezze, che alla fine pacificano le inquietudini interiori.
Un bel libro.